MEMORIA DELLA LUCE E UN VUOTO PIENO
di Federicapaola Capecchi
tra un qui e un altrove, tra vuoto e luce,
sotto montagne di visioni, mentre la pelle si incide,
pensiero e movimento per lui sono tutt’uno
e immagina ... e crea
Così ogni tanto credo fotografi Francesco Tadini. Anche se l’ho seguito più volte mentre fotografa ogni tanto immagino questi venti che portano segni nuovi e riconosco una bellezza, con pochi precedenti, che lui crea di volta in volta nell’uso del mosso, della luce, dello scatto singolo a mano libera e del colore.
Hernst Haas ha risolto il conflitto di molti con il colore facendo della sensazione stessa del colore il soggetto del suo mondo. Nessun fotografo ha lavorato con più successo per esprimere la pura gioia fisica di vedere. Francesco Tadini risolve il conflitto di molti con l’attaccamento alla verosimiglianza, documentazione, ricostruzione meccanica della realtà facendo del mosso e della luce la forma principale di trasfigurazione, creazione e immaginazione, strumento innovativo e originale per restituire e tracciare la complessità del movimento e della luce stessa, dando forma e voce ad un’espressione artistica che disvela quello che non è percepito dall’occhio umano, tutte quelle vibrazioni ed essenze di forme, gesti e mondi che generano poi nel fruitore un forte coinvolgimento personale, anche emotivo.
Quella di Francesco Tadini è una ricerca che costringe lo spettatore ad essere anche fisicamente coinvolto nell’immagine; a lasciare abbastanza spazio in sé e fuori di sé perché l’immaginazione si scateni.
Attraverso uno spazio vuoto, spesso nero, a volte anche con sembianze di schermo, nell’ultimissima fase di ricerca di Light’s memory, Francesco Tadini accentua questo discorso sullo spazio. Che di volta in volta si fa camera oscura, palcoscenico, sembiante, significante.
Partire da uno spazio vuoto per dirigersi verso un pieno dell’essere. Un percorso proprio del teatro, come ci insegna Peter Brook. Perché la verità è concreta. Concreto è l’atto fotografico. Si compie qui e ora, nell’assoluto di questo presente e di questo spazio.
L’introduzione di questo “giuoco serio” con lo spazio e col vuoto accentua una domanda. C'è una luce "in sé" che precede e addirittura crea la forma alla quale si possa dare visibilità? È la domanda che "illumina" la ricerca artigianal-fotografica quotidiana di Francesco Tadini. Le risposte quasi sicuramente possiamo andare a trovarle in tutto quel mondo che prece di molto la storia della Fotografia; le icone di Giotto, l'arte bizantina...
E tra la memoria della luce e il vuoto pieno si crea qualcosa in queste fotografie che fornisce un’illusione simile alla combustione. In alcuni punti, con valori più scuri od oscuri, Francesco Tadini è come a spingerci oltre una realtà oggettiva. Alcuni punti di nero sono come a racchiudere, restringere, limitare i confini della narrazione. Come se il nero che resiste alla cascata delle forme diventasse qualcosa di appetibile, fin desiderabile, come il sobrio malumore di quando si indugia così vicino alla superficie – e alla superficie delle cose - Appetibile e desiderabile come la vita. Poi spostiamo gli occhi verso la luce e il gioco onirico prende forma cangiante nel vagliare sogni. Riguardando bene tutte le fotografie di Light’s memory, là dove sembrano finire e continuare … c’è un insieme di elementi che ci porta a pensare che lui indaghi anche lo stato di coscienza dell’umanità.
E quando si sofferma sui corpi vivi, persone o danzatori, tra luce, luminanza e gesto crea un alto grado di poeticità, facendo emergere nella fotografia anche quella complicità che si crea in scena, e tra danzatore e pubblico. Crea un’interazione tra sé, il danzatore, il suo sguardo, la macchina fotografica e il pubblico. Coglie il senso profondo del movimento, del gesto e del suo significato, senza troppe sovrastrutture. Sa vivere e sentire qualcosa che nasce in diretta. Cerca qualcosa che nasce in diretta. Non c’è racconto didascalico. Perché per vedere e capire la danza non serve rappresentare ciò che accade ma saper raccontare con le proprie percezioni e turbamenti quello che l’occhio dello spettatore potrebbe non riuscire a cogliere. La sospensione di un attimo colto e visto attraverso la propria percezione istintiva, attimo liberato e reso ancor più potente nella fotografia e che spalanca un dubbio profondo – in chi guarda – su ciò che è avvenuto prima e che potrà avvenire dopo.
In tutto, dunque, Francesco Tadini rompe gli equilibri, è capace di stravolgerli – sua complice la luce - per dare una visione diversa di ciò che accade. Prospettive cangianti stravolgendo anche l’equilibrio dei rapporti fra le cose: in questo modo forse a volte corre il rischio di perdere la completezza ortogonale del massimo scenico, ma non subirà mai una visione “imposta” bensì la personalizza sbilanciando i rapporti fra persone e cose.
Francesco Tadini abitua il nostro sguardo al movimento. E non è cosa facile. Con un uso sapiente del colore tanto quanto del bianco e nero, deforma e trasforma la massa e i corpi/edifici in una danza sensuale di nuove forme quasi irreali, come piatti muri scrostati che si lanciano alle nuvole e al cielo, dei tunnel a volte – fisici e di luce - che invece di inghiottire aprono e amplificano oggetti o soggetti umani come punteggiatura … e quadrati, aspetto, foggia e sagome delineano un vuoto che si fa pieno.
E poi le figure umane, quando ci sono, risuonano proprio come una punteggiatura da un lato, un segno coreografico dall'altro, mette in moto passione ed eloquenza, istinto e ragione; a questo punto Francesco Tadini ci accompagna … e ci consente di entrare in sintonia con il tempo e l'esistenza!
"Uno scrittore dovrebbe costruire frasi che sono piene di colore e di ombre. È qui che i pittori e i fotografi possono insegnarci molto. Uno scrittore può replicare i suoni dei grandi compositori o la sensazione delle canzoni che li emozionano, muovendo le parole in modo che le frasi abbiano un certo peso. Così gli scrittori dovrebbero guardare le fotografie e cercare di emulare l'uso della luce e del colore. Crea una frase nello stile di un fotografo e vedi come cambiano le forme". — Tennessee Williams 1982
NOTE FOTOGRAFICHE
di Giorgio Tani
Guardando le foto di Francesco Tadini si ha la sensazione di capire e non capire, perché contengono due elementi di pari mistero, il reale e l’irreale che insieme formano il suo processo di creazione artistica.
Immaginazione, prefigurazione certamente, ma scambiando due parole con lui al telefono si capisce il suo intento e il suo modo di creare l’immagine.
Oggi creare l’immagine è di una semplicità assurda, ci sono mille modi di elaborazione e di sofisticazione, ma non è il caso di Francesco.
Il suo procedimento è, in qualche modo, antico: inquadratura, tempo di esposizione, movimento, mano libera.
Credo che in quel lasso di tempo, misurato secondo l’espressività da raggiungere ci sia nell’autore, in se, la contemplazione in anteprima del risultato, che è sempre una scena a più dimensioni dove gli spazi si intersecano come fossero animati.
Una mia sensazione, forse derivata dalla lettura della sua biografia, è che queste sue foto abbiano la reminiscenza della scena teatrale, si apre il sipario, il fondo si illumina e gli artisti entrano.
Infatti in molte delle immagini che seguono la presenza umana c’è ed è come sentirne la voce recitante.
OLTRE L'IMMAGINE DEL MONDO
di Melina Scalise
Francesco Tadini la cui fotografia è un viaggio temporale e un'esplorazione della luce insieme, in un unico scatto.
Lasciano increduli le sue immagini perché raccontano molto di più di ciò che vediamo con l'occhio e senza aggiungere elementi estranei a ciò di cui lo stesso occhio si alimenta per poter vedere.
La macchina fotografica diventa lo strumento che conserva la memoria di quell'occhio mentre nell'immagine del mondo si muove.
La simultaneità delle sue vedute, nelle scie lasciate dalla luce, ci rivela tutta la complessità del reale e non possiamo che esaltarci all'idea manifesta che anche solo con l'occhio possiamo godere del piacere della libertà.
IN CORPO LUCE
di Federicapaola Capecchi
Light’s memory si muove tra fantasie, narrazioni, regole (da trasgredire) e invenzioni. È una rimessa in gioco e in discussione dello spazio e del tempo.
Alcune rivoluzioni culturali dei primi del 900, tra cui il Futurismo, il Fotodinamismo e il Cubismo, hanno posto fine ad una limitazione che non lasciava spazio al concetto del trascorrere del tempo nello spazio delle fotografie. E Francesco Tadini in Light’s memory si immerge a piene mani, sguardo e movimento tra tempo, spazio e un limite. Un limite o un trampolino di lancio.
Corpi marmorei femminili e maschili in bianco e nero che emergono da un fondo scuro, presi in un abbraccio confuso che potrebbe essere d’agonia, d’estasi o entrambe le cose. Corpi marmorei che marmorei non sono, ma corpo vivo, con il dinamismo del corpo vivo in movimento. Torsioni del busto che muovono muscoli e non pietra; persino gli organi interni, ne senti il correre del sangue.
Francesco Tadini con Light’s memory lascia un segno, portando un approccio nuovo, radicale e unico.
Si allontana da ogni sorta di esotismo o qualsiasi mossa aneddotica di descrizione, per mettere in discussione il tempo e persino la morte, con una libertà concessa da una distanza dal contesto (o panorama a volte) – di cui rinnova ogni volta l’uso – a quadrati o rettangoli. In bianco e nero, sì, o a colori, con ogni rischio che lo porta ad esplorare un’illuminazione impossibile, permette alle fotografie di creare visioni enigmatiche e incinte.
Francesco Tadini con Light’s memory dimostra di avere una mente con la giusta svolta per riuscire a capire come attraversare le dimensioni … della fantasia, della realtà, del tempo, dello spazio, della luce. Light’s memory, “senza spazio e senza tempo”, come se Francesco Tadini e le immagini andassero insieme alla ricerca dell’essenza poetica nella semplicità, eppure introducendo chi guarda in un mondo immaginario, di invenzione, contemplazione e quiete, dove le sensazioni, i dettagli, gli oggetti, gli edifici, i soggetti sembrano venir recuperati dagli angoli nascosti della memoria. Donano luce alla normalità dei sentimenti. Fotografie che sono vere e proprie “grammatiche della fantasia” apparentemente sospese tra il presente e un altro mondo. In qualche modo Light’s memory distrugge la forma pura e la fa rinascere, la ricompone in una visione riflessiva e semiotica.
E poi c’è ovunque, che siano gruppi scultorei, persone, edifici, cattedrali, mare, il movimento, il corpo, come strumento principe dell’invenzione, della creazione. Movimento e corpo che avvicinano molte fotografie di questo progetto a quel disvelamento di ogni pensiero proprio di Francis Bacon, al quel centro di osservazione, a quei corpi e quelle anime. E come per Bacon la pittura è luce e movimento, le fotografie di Light’s memory raccontano di come con la luce e l’illuminazione si crei movimento nuovo, trasfigurazioni e nuove visioni. Figure e strutture non calcificate, non fisse ma dinamiche, mobili, suscettibili di altre forme e in queste fotografie la figura umana, quando c’è, è centrale e multiforme, si propaga perfino nel terreno che non vediamo. Ma cominciamo fantasiosamente ad immaginare. Francesco Tadini spinge all’estremo una ricerca. Come un lampo nell’oscurità (La nave - Milano, Università Statale, Cortile del ‘700, Fuorisalone "From shipyard to courtyard" progetto di Piero Lissoni) quel riquadro madreperlaceo ci focalizza su una figura umana. Tutto attorno geometrie fluide di arancio e una piccola finestrella bianca in alto a sinistra rivelano, in un unico istante che sfida la persistenza del tempo, la volontà di giocare dentro il flusso inarrestabile delle cose e dell’esistenza, dandole nuove forme di un’immagine assoluta. In una fotografia è come se coagulasse sulla tela un refrain in jazz del mistero dell’uomo, di cui perdura l’ immutabile forza di misurarsi col mondo, nonostante tutto.
Ed ogni corpo in Light’s memory, che sia umano, scultoreo o di edificio (antico o moderno) è corpo vivo. Con quel fare del corpo vivo che elabora il passato mentre progetta il futuro ed ha il presente lì, tra le mani, un “prezioso” da raccontare in profondità.
“[...] Oppresso di stupore, a la mia guida Mi volsi [...] ma proprio quella sensazione di meraviglia tale da togliere quasi la capacità di parlare […]” Dante – Paradiso – Canto XXII